La lezione del coronavirus

di Rossana Becarelli

In questi giorni di surreale sospensione della vita frenetica a cui eravamo abituati, sono stata a lungo in ascolto delle voci che si sono accavallate, disegnando scenari controversi a cui molti hanno contributo in larga parte sotto l’onda delle emozioni: paura, allarme, sospetto, rabbia, aggressività, negazione, pessimismo, rassegnazione.
Ho riflettuto a lungo prima di prendere la parola, e comincio facendo ammenda per aver dichiarato solo qualche settimana fa - anche se sembra ormai passato un secolo - che questa influenza sarebbe stata una normale affezione stagionale non meritevole di alcuna particolare precauzione.
I fatti mi hanno smentito nel breve volgere di alcuni giorni e oggi non posso che condividere la determinazione che ha spinto i governatori delle tre regioni italiane più colpite a chiedere misure estreme per contenere il contagio.
Molto ci sarà da analizzare in seguito sulle cause e sulle circostanze della localizzazione della diffusione epidemica di questo virus che, alquanto inspiegabilmente, si è manifestato all’inizio soprattutto nelle tre regioni del Nord, le  più ricche e le più avanzate dal punto di vista sanitario.
Purtroppo l’improvviso aumento dei pazienti in condizioni gravissime o in pericolo di vita a causa della polmonite bilaterale ha rapidamente fatto collassare le strutture pubbliche che, a partire dalla Lombardia, hanno mostrato peraltro un’eccezionale capacità di affrontare l’emergenza aumentando con ogni mezzo i posti letto di rianimazione disponibili e grazie anche all’enorme dedizione di tutto il personale sanitario. Altrettanto ci pone inquietanti interrogativi la letalità che va presentando l’epidemia italiana, e che si dimostra nei numeri assoluti assai peggiore di quella cinese.

Colgo questo momento speciale, e che auspichiamo breve, per esprimere alcune considerazioni.
La prima è che l’epidemia ha riportato alla ribalta l’importanza della sanità pubblica: la sua progressiva dismissione, con la conseguente riduzione di personale e di posti letto, non ha consentito di fronteggiare l’onda d’urto dei pazienti che richiedevano assistenza respiratoria avanzata.  
Alla fine di questo periodo si dovrà necessariamente riconsiderare il ruolo della sanità pubblica, che ha garantito, negli anni, il diritto alla salute in modo universale e democratico, e che ormai è ridotta a una pallida ombra della sua origine.

Appare altresì evidente che l’abnegazione e l’impegno del personale sanitario, che non si risparmia e non deflette malgrado l’elevatissimo rischio di contagio a cui è esposto, ha ridato considerazione e stima a chi si era ormai abituato a essere bersaglio di pubblico vituperio e di continue aggressioni.

Tuttavia il Coronavirus ci sta insegnando molto altro. L’Occidente ha visto di colpo mettere in discussione la sua presunzione di onnipotenza e la certezza di saper controllare ogni fenomeno naturale. Stiamo confrontandoci con un’entità sconosciuta, rincorrendo le più variegate ipotesi del suo funzionamento, cercando affannosamente di mettere in comune sommarie conoscenze fra esperienze disparate: se eravamo convinti di possedere ogni sapere e ogni rimedio, la Natura ce ne ha tolto all’improvviso la sicurezza.
Soggiacere agli effetti di un minuscolo e mutevole organismo, che è bastato da solo a mettere in ginocchio i maggiori Stati del mondo, è tuttavia una salutare lezione che riposiziona il potere della medicina come pure le granitiche certezze della scienza. Siamo stati richiamati di colpo a misurare l’esiguità della nostra capacità di comprensione davanti alla vastità inesplorata della Vita.

L’umanità, proprio quella più ricca e potente, certa fino a ieri della sua supremazia e invulnerabilità, torna a contemplare la sua fragilità. Questo virus ci ha dato la prova che la medicina non è onnisciente e infallibile: non abbiamo a disposizione farmaci per contrastarlo e la sua rapida mutazione rende inefficace qualsiasi vaccino verrà proposto per proteggere le popolazioni in modo durevole nel tempo. C’è piuttosto da prevedere che in futuro compariranno altri agenti patogeni, come questa volta in modo inaspettato e repentino, e di nuovo non ci saranno farmaci efficaci all’apparire di ogni situazione sconosciuta.

È dunque su noi stessi che dobbiamo contare, rafforzando le nostre difese interiori e riscoprendo che l’equilibrio naturale è il più potente strumento che abbiamo per mantenerci in buona salute.
Per questo occorre però cambiare prospettiva: imparando a fidarci di più di noi stessi e delle straordinarie capacità di reazione del nostro corpo e mantenendo il suo naturale stato di benessere.

Il Covid19 è l’epifenomeno della crisi a cui è giunto il modello di sviluppo della nostra civiltà.  
Abbiamo troppo a lungo trascurato l’interconnessione fra i sistemi biologici umani e quelli ambientali: il fenomeno dello spillover (salto di specie) che potrebbe essere all’origine della diffusione del virus è causato dai cambiamenti climatici in atto che mutano gli ecosistemi preesistenti e predispongono al transito fra specie diverse di agenti patogeni in precedenza confinati e adattati ad altri ospiti. Continuando col processo di deforestazione, con l’inquinamento della terra, delle acque e dell’aria, aumentando la produzione di merci e beni, per lo più inessenziali, si è costruito un sistema economico basato sulla crescita sfrenata che sta compromettendo la sopravvivenza della specie umana.
Ci siamo insensibilmente abituati a credere che la crescita economica sia il principale obiettivo delle società e dell’individuo e anche in questo momento c’è chi considera lo shock  finanziario dei mercati come l’aspetto principale, se non addirittura l’unico, di cui bisogna occuparsi.

Può suonare paradossale, ma personalmente considero questa pausa che ci è stata imposta come un’opportunità straordinaria che non dobbiamo sperperare.

Vedo emergere spontaneamente solidarietà, incredibile creatività, coinvolgimento attivo di tanti nel rendere vivo e vitale questo isolamento che ci vede partecipi dell’epica impresa di contenere il contagio. Teatri, musei, biblioteche, stanno rendendo disponibili in modo virtuale spettacoli, visite e libri. Si moltiplicano i flashmob nazionali per manifestare gratitudine e sostegno a distanza al personale degli ospedali: dai balconi ci si saluta, si applaude, si improvvisano concerti, si rappresentano piccoli spettacoli. Un collega scrive dell’emozione che ha provato incontrando la profondità dello sguardo di un paziente al di sopra della mascherina regolamentare.
È un peccato che l’umanità abbia bisogno di circostanze di emergenza per risvegliarsi dal sopore del comfort a cui è assuefatta e ritornare capace di apprezzare  le più piccole cose a cui aveva smesso di dare importanza.
Come un digiuno è più salutare di un’indigestione, questo arresto ci dà la misura della bulimia di cui eravamo preda. Ci restituisce il desiderio delle cose che abbiamo dato troppo per scontate: la stretta di mano, il bacio, l’abbraccio, una passeggiata, il viaggio, il cielo sconfinato.

Stiamo vivendo uno stato straordinario di sospensione della frenesia del fare, che ci aveva letteralmente drogati, nella psiche e nel fisico, di adrenalina e cortisolo.  
Esso ci permette di scendere nell’incommensurabile immensità dell’essere.
Abbiamo il tempo di stare un po' in compagnia di noi stessi, una compagnìa che spesso abbiamo evitato. Approfittiamone come di una convalescenza che ci viene concessa senza aver dovuto passare attraverso la malattia...
Ne usciremo più ricchi dei valori che contano e, se sapremo far buon uso di questo fermo obbligato, tutti insieme dopo il Coronavirus potremo trovare in noi la forza anche di fermare la corsa insensata che ci conduce inevitabilmente allo sfacelo ambientale e forse addirittura alla scomparsa della specie umana.